Il sole riscalda i licheni sulla roccia crollata laddove il mare ha scavato e dove il vento ha trasportato i semi di paesaggi lontani dal nostro tempo. Qui la natura ha trovato soluzioni armoniche alla tormentata morfologia fisica, creando un tappeto di velluto verde dove lo sguardo sosta prima di arrivare al mare: cespugli di lentisco, mirto e ginepri, modellati dal vento di scirocco, degradano in verdi cromie abitate da una timida fauna, mentre un intermittente stridulio di cicale tiene il tempo: è il battito della terra che cresce, malgrado l’uomo.
In epoca preistorica una vasta vegetazione boschiva ricopriva gran parte del Salento. Lo sviluppo demografico e l’intensificazione delle attività umane ne hanno modificato gradualmente la copertura vegetale.
Nel III sec. a.C. l’occupazione romana segna l’inizio della ripresa della vegetazione spontanea: la ridiffusione dei boschi in questo periodo è da attribuire al decadimento dell’agricoltura per lo sterminio dei popoli apuli. Infatti, secondo Giuseppe Palmieri “Il lungo soggiorno degli eserciti in questa regione e le continue devastazioni l’avevano renduta vuota di abitanti” (Pensieri economici relativi al Regno di Napoli, Napoli, Ed. Vincenzo Flauto, 1789).
Nel XVIII secolo una legge che imponeva oneri fiscali ai possessori di boschi spinse questi ultimi a liberarsene, persino ricorrendo al fuoco. Un importante contributo allo studio fitostorico dell’Italia meridionale è rappresentato dall’Atlante geografico del Regno di Napoli del Rizzi-Zannoni, con rilievi risalenti probabilmente al 1798, che riporta nelle cartografie allegate gran parte dei boschi presenti all’epoca, comprese “Le folte Macchie d’Arneo” a ridosso dei nostri Giardini d’acqua (G.A. Rizzi Zannoni, Atlante geografico del Regno di Napoli, Napoli, Istituto Geografico Militare, 1808).
Cinque, sei secoli fa in Puglia molte aree boschive e foreste erano sotto il controllo dei feudatari che se ne riservavano il godimento esclusivo, per l’osservanza del quale era previsto un servizio di vigilanza armata a cura dei forestarii. Era il Re a nominare i maestri forestarii e ad enumerare tutte le foreste del Regno con il rispettivo numero di custodi. Alla difesa della “Foresta di Nardò”, anticamente chiamata Nerito e all’interno della quale affiorano i giardini d’acqua, era preposto un solo forestario.
Secondo Pietro Parenzan a pochi metri della superficie, al riparo dai venti secchi e dalla salsedine aggredente, si sono riparate oltre 130 specie.
Ancora oggi, approssimandoci alle spunnulate ed artigliando i “cuti” (scogli) sotto i nostri piedi, possiamo assistere a quella lentissima esplosione di semi che, partendo da una lontanissima primavera, ha rilasciato una colorata energia vegetale tra le fratture della costa, ed «alghe ed erbe acquatiche verdi come il vetro morbido» dentro le grandi ampolle calcaree delle spunnulate.
La predominanza di Quercus ilex nelle cavità doliniformi riparate dal vento salso avvalora l’ipotesi che in passato il sito fosse coperto dal boschetto di Quercus ilex (leccio) che è stato distrutto dall’uomo e dal fuoco.
Relativamente alle spunnulate di Torre Castiglione, la vegetazione è classificata come “vegetazione delle paludi salse” nella Carta della Vegetazione di Torre Colimena.
Il microclima umido che si crea all’interno delle spunnulate favorisce lo sviluppo di una vegetazione particolare, creando “isole” di flora spontanea e selvatica in un contesto di terreni per lo più coltivati o degradati dal pascolo e dunque spesso prevalentemente spogli. Non è difficile trovare in queste formazioni carsiche, alimentate dall’umidità e dall’acqua delle risorgive, associazioni vegetali singolari e relitti floristici, grazie anche al particolare microclima riparato dai venti marini e alla posizione relativamente appartata rispetto alla forte antropizzazione della zona.
Nelle doline più grandi, che presentano lo specchio d’acqua sul fondo, è possibile distinguere una zonizzazione vegetazionale:
Sui bordi superiori delle spunnulate troviamo: l’asfodelo mediterraneo (Asphodelus maritimus), la scilla marittima (Urginea maritima) e numerose graminacee;
Lungo le pareti ed i gradoni: ginestrino (Lotus commutatus), clematide cirrosa (Clematis cirrhosa), gnidio (Daphne gnidium), mirto (Myrthus communis), fillirea (Phyllirea latifolia), lentisco (Pistacia lentiscus), leccio (Quercus ilex) ed elementi del Quercion ilicis, smilace (Smilax aspera), cappero (Capparis spinosa), ombelico di venere (Cotyledon umbicusveneris);
Fondo delle doline: erba da chiozzi spiralata (Ruppia cirrhosa), brasca delle lagune (Potamogeton pettinata), rari ciuffi di schoenopletus lacustris.
Nei punti di emersione: cannuccia di palude (Phragmites australis), giunco marittimo (Juncus maritimus), giunco pungente (Juncus acutus), giunco nero (Shoenus nigricans), limonio comune (Limonium serotinum), enula bacicci (Inula crithmoides), astro marino (Aster tripolium).
Flora “banale”
Così definita dal prof. Michele Mainardi, è una specie derivante dall’utilizzo improprio delle spunnulate e che ha inquinato in senso vegetazionale quella precedente: mercorella comune (Mercurialis annua), geranio di San Roberto (Geranium Robertianum), geranio colombino (Geranium columbinum), geranio volgare (Geranium molle), acetosella gialla (Oxalis pes caprae), becco di gru comune (Erodium cicutarium), euforbia minore (Euphorbia peplus), malva selvatica (Malva sylvestris), e molte altre.
Gariga o flora di superficie
La zona intorno alle spunnulate ha subìto una estrema degradazione; millenni di azione antropica, di pascolamento, di incendi, di sfruttamento agricolo ne hanno modificato la vegetazione. Attualmente le specie vegetali che si impongono nelle aree circostanti le doline sono geofite, piante a bulbo che, durante i periodi di condizioni ambientali sfavorevoli, scompaiono rimanendo in uno stato di vita latente nei loro organi sotterranei e piante spinose che riducono la traspirazione trasformando le foglie in spine. Molto comuni in questo ambiente sono:
mirto (Myrtus communis), giaggiolo dei poveretti (Iris sisyrinchium), santoreggia (Satureya cuneifolia), alcanna (Alkanna tinctoria), finocchio selvatico (Phoeniculum vulgare), cisto di Montpellier (Cistus monspeliensis), violaciocca marina (Matthiola tricuspidata), erba medica marina (Medicago marina), sparzio pungente (calicotome spinosa), orchidea a farfalla (Orchis papilionacea), ofride fior di bombo (ophris bombyliflora), ofride gialla (Ophrys lutea), ofride fior di vespa (Ophrys tenthredinifera), ofride di Bertoloni (Ophrys bertolonii), ornitogallo (Ornithogalum sp.), ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus macrocarpa), silene colorata, orchidea farfalla (Anacamptis papilionacea).
Il nome deriva dal greco ‘a’ (non), ‘spodos‘ (cenere) ed ‘elos‘ (valle), a significare la “valle di ciò che non è stato ridotto in cenere”, poiché i tuberi della pianta sono in grado di resistere al calore del fuoco. Localmente chiamate uluzzi, queste piante hanno sapore acre e sono rifiutate dal bestiame al pascolo, che le lascia moltiplicarsi a dismisura.
Fioritura: da marzo a maggio
Comunemente chiamato ginestrino, gli vengono attribuite circa 150 specie. In Italia ne sono presenti 22: si può trovare il lotus commutatus in tutta l’Italia centrale e meridionale, in Sicilia e in Liguria.
Fioritura: da marzo a giugno
Il nome scientifico della cannuccia di palude deriva dalla parola greca ‘phragma’ (steccato, palizzata, siepe) ed è una pianta adatta a formare siepi. Il nome della specie deriva da ‘áuster’ (austro), il vento del sud proprio della regione meridionale.
Fioritura: da luglio a settembre
Il nome specifico deriva dal greco ‘sisyrinchion’, nome della pianta con bulbo dolce citata da Teofrasto, probabilmente dal greco ‘sys’ (maiale) e ‘rynchos’ (grugno), con riferimento ai suoi bulbi particolarmente graditi ai suini.
Fioritura: da aprile a maggio
Il nome dell’Alkanna tinctoria (arganetta azzurra) deriva dall’arabo ‘Alkenneh’ , che significa radice e dal latino ‘tinctorius’ (tintore). Ne veniva utilizzato l’estratto ricavato dalla radice, di colore rosso mogano, per tingere la lana e altre stoffe.
Fioritura: da marzo a giugno
I fiori del cisto durano un solo giorno, in compenso la fioritura, che avviene tra aprile e maggio, si protrae per alcune settimane.
Fioritura: da marzo a maggio
Deve il suo nome a Pietro Andrea Mattioli (botanico del ‘500). Presenta fiori viola con quattro petali il cui centro sfuma in bianco. Il frutto della violaciocca si presenta con estremità a forma di tre corna, da cui l’epiteto “tricuspidata”.
Fioritura: da aprile a luglio
L’erba medica marina è una pianta a distribuzione mediterranea. Il nome del genere deriva dalla Media, antica regione della Persia, da cui Teofrasto pensava provenisse l’erba medica comune. Il nome specifico si riferisce all’habitat litoraneo.
Fioritura: da marzo ad agosto
Il nome ofride viene dal greco ‘ophrys’ (ciglia), forse in riferimento a una pianta che produceva una tintura per le sopracciglia, ma più probabilmente in riferimento alla pelosità del labello del fiore (petalo inferiore). L’epiteto specifico bombyliflora deriva dal greco ‘bombýlios’ (bombo) per la somiglianza del labello agli imenotteri del genere Bombus.
Fioritura: da febbraio a maggio
L’ofride gialla presenta sul labello un margine di colore giallo e una macchia bruna al centro, che presenta un disegno a forma di farfalla. L’epiteto specifico deriva dal latino ‘luteus’ (giallo), suo colore dominante.
Fioritura: da fine febbraio a maggio
L’ofride vespa deve il suo epiteto tenthredinifera al latino ‘tenthredo’ (vespa) e ‘fero’ (porto) “portatrice di vespe”, per il colore dei fiori.
Fioritura: da marzo a maggio
Questa specie di ofride è dedicata ad Antonio Bertoloni, medico e botanico dell’800.
Fioritura: da marzo a giugno
Ornitogallo deriva dal greco e significa “latte di gallina”, riferito al colore bianco del lattice che fuoriesce dai gambi spezzati. I fiori, quando sono chiusi, ricordano la cresta di un gallo; si possono ammirare aperti intorno alle undici del mattino.
Fioritura: da marzo/aprile a giugno
Il nome potrebbe derivare da Sileno, compagno di Bacco, dal ventre gonfio che ne ricorda il fiore, o dal greco ‘sialon’ (saliva) per il liquido appiccicoso che le piante hanno sul fusto.
Fioritura: da aprile a giugno
La varietà papilionacea è presente in tutta Italia tranne in Val d’Aosta e Trentino. L’impollinazione avviene ad opera di piccole vespe, i cui maschi, attratti da un inganno visivo (in realtà, questo fiore non ha nettare) lasciano i loro feromoni sul labello in modo da attirare le femmine della stessa specie. L’epiteto specifico deriva dal latino ‘papilio’ (farfalla) per la forma dei fiori.
Fioritura: da marzo a giugno
I Giardini d’acqua d’estate si trasformano in una costellazione di suoni che va dal frullio d’ali di un tarabusino al sommesso brusio delle foglie di lentisco smosse da un colubro strisciante, passando dal frinire di grilli e cicale innamorate ed “il mare come direttore d’orchestra”.
Quando il sole è alto e riscalda gli anfratti rocciosi impegnati da gechi muti e timidi, è allora che l’aria diviene ovatta tiepida che imprigiona echi di vite nascoste.
Di notte poi, “come un invisibile carillon” si affievolisce il frinire delle cicale dentro “una stanchezza di cielo nel perenne silenzio delle sue costellazioni“. Su questa rampa di lancio verso l’infinito dell’orizzonte, le uniche ombre presenti sono quelle frastagliate che la luna piena disegna intorno agli antichi massi ricacciati dal mare, morbide ombre animate dalla corsa dei granchi all’interno delle piccole vaschette di acqua e sale, le acquesantiere del mare.
Nelle antiche carte topografiche e fino ai primi anni del secolo XIX l’Arneo viene rappresentato col fitotoponimo “le folte macchie di Arneo” popolate da cinghiali, caprioli, volpi, lepri e uccelli acquatici. Il medico e letterato Girolamo Marciano (1571/1628), all’interno della sua “Descrizione, origine e successi della provincia di Otranto” affermava che presso Torre di Castiglione vi erano:
Le spunnulate si trovano in una posizione geografica di elevato interesse faunistico durante i mesi interessati dalle migrazioni autunnali e primaverili, soprattutto dalla seconda decade di marzo alla fine di maggio.
L’avifauna più rappresentativa dell’area costiera è composta da esemplari di Martin pescatore, Germano reale, Cavaliere d’Italia, Fraticello. Sugli scogli costieri, nelle polle sorgive all’interno delle doline, si possono osservare esemplari di Airone cenerino, Airone rosso, Garzetta, Nitticora, Tarabuso, Tarabusino, Sgarza ciuffetto.
Questo ambiente vede occasionalmente ospitare anche Occhioni, Pernici di mare, Codirossoni, Upupe e Cuculi che durante il tragitto della migrazione necessitano di soste per riposarsi e alimentarsi.
Le spunnulate di Torre Castiglione vengono così a trovarsi in una posizione strategicamente di maggior rilievo rispetto ad altri siti come lo stretto di Messina, Gibilterra e dei Dardanelli. È interessante segnalare, sul finire della primavera, la migrazione della Vanessa del Cardo (Vanessa cardui) mentre, sul finire dell’estate e l’inizio dell’autunno, giungono in Salento anche la Vanessa atalanta e l’Aglais urticae.
Nonostante siano farfalle comunissime sono molto difficili da fotografare: fuggono avvertendo il più lieve movimento.
Nidificante sedentario, migratore regolare. Frequenta aree umide e salmastre e conduce vita solitaria. Si ciba di pesci di piccole dimensioni, insetti acquatici e molluschi. Per cacciare si libra sull’acqua e quando avvista la preda si tuffa a capofitto. I Cavalieri d’Italia producono circa tre covate all’anno e iniziano a deporre le uova tra aprile e maggio.
Foto da Piano Comunale delle coste di Porto Cesareo
In Italia è migratore regolare e nidificante. Frequenta solo zone umide anche di ridotte dimensioni con abbondante vegetazione e mostra una spiccata preferenza per i canneti maturi. Conduce vita solitaria o di coppia, ma si riunisce in gruppi durante gli spostamenti migratori, che avvengono per lo più di notte. Si ciba di piccole prede acquatiche: insetti, rane, girini, piccoli pesci. Nell’anno compie una sola covata e la deposizione ha luogo tra la metà di maggio e giugno.
Foto da Piano Comunale delle coste di Porto Cesareo
In Italia è nidificante sedentario, migratore regolare e svernante. In epoca riproduttiva preferisce ambienti con specchi d’acqua non molto estesi, con bassi fondali e ricchi di vegetazione; durante l’autunno e l’inverno sosta anche in mare non distante dalla costa. Conduce vita gregaria tranne che durante la stagione delle cove. Si ciba in prevalenza di alghe, germogli, semi, bacche, ma anche di insetti e loro larve. La deposizione delle uova ha luogo tra febbraio e l’inizio di luglio e nell’anno è possibile che produca una seconda covata se la prima ha avuto esito negativo.
Foto AMP
Nidificante sedentario, migratore regolare. Frequenta aree umide e salmastre e conduce vita solitaria. Si ciba di pesci di piccole dimensioni, insetti acquatici e molluschi. Per cacciare si libra sull’acqua e quando avvista la preda si tuffa a capofitto. Nell’anno compie circa tre covate e inizia a deporre le uova tra aprile e maggio.
Quando si muove presenta un tipico volo a zigzag. In Italia si possono avere fino a tre generazioni all’anno, con gli adulti che compaiono all’inizio della primavera. Dopo gli accoppiamenti le femmine depongono le uova sulle piante di cardo e di altre composite. I bruchi che ne nascono si insediano tra le foglie, completano lo sviluppo e subiscono la metamorfosi in un tempo relativamente breve, dando subito origine a una seconda generazione, cui ne segue una terza.
Periodo di volo: da aprile in poi.
L’adulto di questa specie vive per circa undici mesi ed è in grado di compiere lunghe migrazioni. All’inizio della primavera gli adulti residenti in Europa cominciano a migrare verso nord, fino a raggiungere le regioni scandinave, spingendosi a volte persino in Islanda. Da metà agosto comincia la migrazione di ritorno verso sud per per raggiungere i quartieri di svernamento; per questo motivo è una delle ultime farfalle che si possono osservare in autunno. Le uova vengono deposte singolarmente sulla pagina superiore delle foglie della pianta nutrice, principalmente rappresentata dall’ortica. La Vanessa atalanta è anche nota per essere capace di cadere in stato di ibernazione, riemergendone con una colorazione nettamente più scura degli altri esemplari.
Periodo di volo: da maggio a ottobre.
Nota anche come Vanessa dell’ortica, il suo nome Aglais è un omaggio ad Aglaia, una delle tre Cariti (le tre Grazie dei Romani), quella della bellezza sfolgorante. Il termine urticae fa riferimento alla principale pianta ospite dei suoi bruchi, l’Urtica dioica. Un tempo annoverata fra le farfalle più comuni, la Vanessa delle ortiche risulta ora in forte e rapido declino, almeno in Europa occidentale. Tale regresso non può essere spiegato con la diminuzione della sua pianta ospite, poiché l’ortica beneficia anche dell’eutrofizzazione dell’ambiente. Alcune prove scientifiche mostrano che la siccità estiva è una causa di decremento delle popolazioni, poiché di norma le larve si sviluppano meglio sulle foglie caratterizzate da linfa ricca di nitrati.
Periodo di volo: da maggio a ottobre.
Relativamente comune lungo le coste del Salento, fu scoperto per la prima volta nella Grotta della Zinzulusa e deve il suo nome allo studioso Filippo Bottazzi.
Piccolo crostaceo onnivoro, simile ad un gamberetto, che vive in acque molto profonde, è presente in ambienti cavernicoli nel tratto di costa compreso tra Gallipoli e Porto Cesareo.
È lungo tra i 6,5 ed i 13 mm. ed è in grado di adattarsi a diverse condizioni di salinità.
Può raggiungere la lunghezza massima di 70 cm ed il peso di 8 kg. Frequenta l’ambiente marino costiero fino a 30 mt di profondità e conduce vita gregaria in piccoli gruppi. È onnivoro e si ciba di micro alghe, plancton e larve d’insetti. Si riproduce in mare da luglio a settembre. L’accoppiamento avviene in gruppi composti solitamente da una femmina e tre o cinque maschi. Ogni femmina produce dalle 100.000 alle 300.000 uova per kg di peso. Le uova sono dotate di una gocciolina oleosa che ne favorisce il galleggiamento.
La gambusia è stata introdotta durante le bonifiche degli anni ‘20 del Novecento per il controllo malarico, poiché considerata una grande consumatrice di larve di zanzara Anopheles, vettore della malaria. Le gambusie sono predatori voraci ed aggressivi ed in alcuni casi attaccano animali più grandi di loro. Si riproducono dalle tre alle sei volte l’anno, a partire dalla primavera. Non depongono uova ma un gran numero di avannotti già simili agli adulti. Le gambusie rappresentano una minaccia per le specie autoctone.
Possiede un corpo serpentiforme e può raggiungere 1 mt di lunghezza. Le uova di anguilla vengono deposte nel Mar dei Sargassi (America centrale-Caraibi). Le larve iniziano il loro viaggio verso le coste europee e del mar Mediterraneo dove arriveranno dopo circa 1-3 anni. All’arrivo appaiono di colore bianco e per questo vengono chiamate anguille di vetro. Dopo 8-9 anni fanno ritorno nel Mar dei Sargassi per la riproduzione. L’anguilla si nutre di piccoli pesci. Il sangue dell’anguilla è tossico se viene a contatto con una ferita.
Il fondo delle doline di Torre Castiglione è popolato da una fitta ittiofauna con cefali (Mugilcephalus), gambusie (Gambusia affine holbrooki) e anguille (Anguilla anguilla), a testimonianza della comunicazione con il mare.
Le gambusie furono introdotte in passato per combattere la malaria. A causa dell’estremo isolamento dovuto al peculiare tipo di habitat si riscontra la presenza di specie per la maggior parte antiche, rare, caratteristiche o esclusive degli habitat cavernicoli: tra gli invertebrati destano particolare interesse Spelaemysis bottazzi, endemico della Puglia, Metaingolfiella e Diamisicamassai (endemico delle spunnulate di Torre Castiglione).
Questi ultimi rappresentano elementi faunistici molto antichi, paleomediterranei, che colonizzarono le acque sotterranee della Puglia circa 160 milioni di anni fa.
Sui bordi delle doline e nelle strade circostanti le spunnulate si sono riscontrate numerose tracce di piccoli mammiferi, come volpi (Vulpes vulpes), donnole (Mustela nivalis), faine (Martes foina), ricci (Erinaceus europaeus), che durante le ore crepuscolari e notturne escono dalle tane per la ricerca di cibo. Gli stessi mammiferi d’estate tendono ad abbandonare i rifugi della zona a causa dell’intensificarsi della presenza umana.
Erpetologicamente le spunnulate registrano una rilevante presenza faunistica. Tra i rettili si segnala la presenza della testuggine d’acqua (Emys orbicularis), del cervone (Elaphe quatuorlineata) e del colubro leopardino (Elaphe situla).
La volpe è un mammifero carnivoro che all’occorrenza si nutre di bacche e frutti selvatici. È un animale pressoché notturno e molto schivo. È presente in una grande varietà di habitat a testimonianza del suo alto grado di adattabilità. La volpe non si lancia all’inseguimento della preda ma spicca un balzo in aria di un metro e ricade in picchiata sulla preda con le zampe anteriori. Nei periodi di grande abbondanza scava piccole buche dove nasconde il cibo. Una volta all’anno la femmina partorisce da tre a otto piccoli dopo una gestazione di circa 52-53 giorni, in una camera-nido preparata nella tana.
La Donnola è un mustelide con arti brevi e una densa pelliccia. Vive in terreni coltivati, boschi, e presso abitazioni abbandonate. È attiva specialmente di notte. Vive solitaria o in piccoli gruppi e si rifugia in tane scavate nel terreno da altri animali. Si ciba prevalentemente di roditori, ma anche di lepri, conigli, uccelli e loro uova, anfibi e rettili. In natura vive fino a quattro anni, in cattività fino a 8-10 anni.
La Faina è un mustelide dal corpo allungato delle dimensioni di un gatto. Lascia impronte che mostrano solo quattro dita per zampa, nonostante ne possieda cinque, per cui la forma della sua impronta ricorda quella di un gatto. Gli habitat preferenziali di questa specie sono i boschi e le zone rurali disseminate di boschetti, siepi e filari. La faina è onnivora, prediligendo piccoli roditori e arvicole. A seconda della stagione può arrivare a cibarsi anche di grandi quantità di frutti. Si tratta di una specie nettamente notturna e in genere solitaria e i maschi e le femmine interagiscono tra di loro solo nel periodo della riproduzione. L’aspettativa di vita della faina in natura può raggiungere i vent’anni.
È un mammifero. Possiede grosse unghie per scavare la terra e il suo corpo è ricoperto da circa 6000 aculei. Poiché è molto miope utilizza l’olfatto per localizzare le sue prede annusando il terreno. Di giorno si nasconde sotto legna marcescente o foglie secche; preferisce i margini dei boschi, le zone cespugliate e i boschi ricchi di sottobosco. Si nutre di insetti, lombrichi, piccoli roditori e lumache ma in caso di necessità mangia anche ghiande, bacche e frutta. Una leggenda salentina racconta che il riccio sia ghiotto d’uva. Non potendo arrivare ai grappoli scuote il tronco fino a far cadere qualche acino, si distenderebbe sul dorso per infilzarli e poi tornare alla tana a dividere il bottino.
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Gli habitat ideali della testuggine d’acqua sono i canali con acque lente e abbondante vegetazione acquatica, le sponde e gli stagni. È una specie prevalentemente carnivora, si ciba di insetti, anellidi, lumache, crostacei, molluschi ed anche piante acquatiche, occasionalmente mangiano piccoli anfibi e carcasse di pesci. La femmina depone le uova di notte in una buca tra le radici della vegetazione, dove la terra è più morbida, in posizione tale da garantire una buona esposizione ai raggi solari. Quando nascono, i piccoli sono dotati di un dente dell’uovo destinato a scomparire, che serve per rompere il guscio. Il sesso dei neonati dipende dalla temperatura di incubazione: con temperature costanti tra i 23 e i 27 gradi nascono esclusivamente maschi, tra i 30 e i 33 gradi femmine.
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La pelle del cervone è marrone chiaro con quattro linee nere distinte, dalle quali deriva il nome scientifico quatuorlineata. Si tratta di una specie di rettile diurno che durante la stagione invernale preferisce stare in gallerie abbandonate in precedenza dai roditori. Si ciba di mammiferi di piccola taglia come conigli, donnole e topi. Altre possibili prede possono essere piccioni, uova e talvolta qualche lucertola. Nonostante le sue ragguardevoli dimensioni (può raggiungere i 220 cm di lunghezza) è un rettile assai mite. Sul cervone circolano credenze che ne fanno un goloso bevitore di latte, da cui deriva il nome dialettale di “sacara pasturavacche”. Secondo le credenze popolari, infatti, serpenti cervoni sarebbero stati visti attaccati alle mammelle di bovini e ovini per succhiarne il latte, o intenti a lambire le gocce di latte rimaste sulle labbra dei neonati o perfino accostati al seno delle madri dormienti. In realtà il cervone non ha alcuna attrazione per il latte.
Il colubro leopardino ha una colorazione giallo-verdina su cui spiccano delle maculazioni irregolari color rosso-ruggine contornate di nero. Il Leopardino raggiunge una lunghezza massima di 90 cm ed è un abile cacciatore di piccoli roditori ma non disdegna sauri, rane, i piccoli volatili e le loro uova. Privo di zanne e di veleno, uccide le prede per costrizione, o, se le dimensioni lo consentono, per ingollamento diretto. Si tratta di una specie che ama gli ambienti aridi e soleggiati, quali muretti a secco, pietraie, zone a macchia mediterranea, margini di campi e corsi d’acqua. Attivo prevalentemente durante le ore diurne, è un buon arrampicatore e un eccellente nuotatore.
Si tratta di una specie che ama gli ambienti aridi e soleggiati, quali muretti a secco, pietraie, zone a macchia mediterranea, margini di campi e corsi d’acqua. Attivo prevalentemente durante le ore diurne., è un buon arrampicatore e un eccellente nuotatore.
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