Come i granelli di sabbia che hanno scandito un tempo passato e cadendo nella clessidra non svaniscono, così il passato qui si rivela a strati, lungo il margine di una Terra d’Otranto rosicchiata dal mare.
Nel 1978 l’archeologo Salvatore Bianco effettua ricerche nei pressi di Torre Castiglione, portando alla luce alcuni utensili in pietra riferibili alla fase finale dell’età del Bronzo, che rivelano l’esistenza in situ di un insediamento preistorico. Purtroppo, la costruzione della torre sullo stesso sito ha completamente sconvolto il deposito archeologico, d’altra parte già notevolmente intaccato dall’erosione marina. La presenza di alcune ceramiche medievali e di datazione successiva ci comunicano che la zona è stata costantemente frequentata dall’uomo.
“Che i materiali preistorici siano riferibili ad un vero e proprio insediamento è provato dalla presenza di frammenti di intonaco di capanna, in parte recanti impronte dell’intelaiatura lignea della capanna stessa. Sono presenti inoltre tre frammenti di ciottoli in quarzite e una macina in arenaria a grana piuttosto grossolana e a contorno irregolarmente ovale; essa testimonia lo sviluppo raggiunto dall’agricoltura nella tarda Età del bronzo.” (BIANCO S. 1978 – Torre Castiglione: insediamento proto-villanoviano. Ricerche e studi, Brindisi)
Le capanne presentavano un unico vano di forma circolare, ovale o rettangolare. Le pareti, costituite da elementi vegetali tenuti insieme da una serie di paletti lignei, erano rivestite all’interno e all’esterno da uno spesso “intonaco” di argilla pressata. La pavimentazione era costituita da terra battuta. Le pareti in steccato fornivano l’appoggio alle strutture del tetto che era fatto di travi e ricoperto da elementi vegetali. L’uscio, rinforzato da due pali disposti ad X, era caratterizzato da un piccolo porticato.
La costruzione di torri costiere in Puglia, dall’epoca bizantina al dominio normanno, rientra nella politica di difesa delle coste e dell’entroterra dalle invasioni saracene. Torre Castiglione fa parte del sistema di torri di avvistamento costiero realizzato ad opera dei Viceré spagnoli di Napoli per proteggere la terra d’Otranto.
L’edificazione della torre detta Ponte de Castiglione risale al 1568. L’appalto per la costruzione viene assegnato al maestro neretino Virgilio Pugliese, il quale si impegna ad attenersi al disegno che gli sarà consegnato dall’ingegnere Giovanni Tommaso Scala e di completare i lavori entro 9 mesi dal primo del mese entrante. Dopo la morte di quest’ultimo i lavori furono proseguiti dal compaesano neretino Leonardo Spalletta.
La torre fu censita in buono stato nel 1825 da Primaldo Coco e risultava ancora in uso nel 1842 dalla Guardia Doganale. Successivamente, nel 1972 viene indicata come rudere, probabilmente crollata a causa di un cedimento del terreno dovuto agli effetti del carsismo. Oggi, sul cumulo delle rovine resistono pochi decimetri quadrati di pavimento e tracce di un probabile pozzo.
San Pancrazio Sal.no – Chiesa di Sant’Antonio da Padova – Affresco dell’assalto del 1547 (fonte: http://www.brindisiweb.it)
La struttura, l’organizzazione della comunicazione e l’ubicazione lungo la costa, spesso su alture o in prossimità delle scogliere, rende evidente come queste costruzioni non siano state concepite come mezzi per l’attacco del nemico ma per la difesa del territorio e della popolazione. Le torri dovevano prevedere un terrapieno antimina al basamento per la difesa dalle armi da fuoco, mentre al pianterreno erano generalmente custoditi gli animali. La vita del drappello composto da torriero (che diventava tale dopo aver superato un esame specifico ed aver acquisito la relativa patente), cavallaro e tre o quattro armigeri, si svolgeva ai piani superiori e nella gabbiola di avvistamento che sovrastava la torre. Avvistato il nemico, le guardie avvertivano la popolazione di persona per mezzo del cavallaro o a distanza con l’utilizzo di fumi (le fumate si ottenevano bruciando fasci di fieno e di erica bagnati con acqua e bitume in un cestello di ferro scorrevole, posto su un’antenna), di fuochi (detti “fani”), oppure con lo sparo di armi da fuoco, lo sventolio di bandiere, il suono di strumenti appositi come la buccina (tromba marinaresca) ricavata da una conchiglia o, in qualche caso, utilizzando piccioni viaggiatori.
“Le persone destinate alla custodia di queste torri siano in obbligo la notte di avvisare la città vicina con tanti fuochi quante son le navi vedute nel giorno. La torre poi che le succede vicina corrisponde con altrettanti fuochi, e questa avvisa la seguente, e così di mano in mano una avvisa l’altra” (Antonino Mongitore 1663 – 1742, scrittore e storico).
fonte: www.anticabibliotecacoriglianorossano.it
Gravèe par Guttemberg/Incisione realizzata da Guttemberg dalla quale si evince come il volume del corpo scala comunica con la torre per mezzo di un ponte levatoio in legno.
Per la costruzione delle torri venivano impiegate esclusivamente pietre locali come il tufo o il più duro e resistente càrparo (De Giorgi 1981). Le prime torri di avvistamento, quelle del Trecento e Quattrocento, s’innalzavano su piante circolari e solo nel Cinquecento furono elevate su piante quadrangolari, con il fine di sfruttare nella miglior maniera gli angoli dove disporre l’artiglieria. Inizialmente erano prive di scale esterne e i torrieri accedevano all’interno con scale a piolo (scale di corda con gradini di legno) che permettevano l’entrata e l’uscita dalla torre. Tali strutture erano costruite su due piani comunicanti tra loro.
Dall’analisi delle torri costiere della provincia di Lecce emergono cinque tipologie principali:
Torre Castiglione, inizialmente indicata da Vittorio Faglia appartenente alla serie di Nardò, seguendo i più aggiornati studi di F. Errico viene attualmente accostata “con chiarezza, e in maniera inequivocabile […] alla serie delle torri tipiche del Regno”, contrariamente a quanto ipotizzato da Vittorio Faglia (1978)” (Errico, 2018). Nella Carta Castelli si legge la base quadrata di 11 metri di lato, mentre i muri sembra avessero uno spessore di metri 2,5. (Censimento delle torri costiere nella Provincia di Terra d’Otranto – Indagine per il ricupero del territorio – F. Bruno V. Faglia G. Losso A. Manuele – Istituto Italiano dei castelli – Roma 1978).
Esempio di torre “tipica del Regno”: Torre S. Giovanni della Pedata a Gallipoli
(fonte: www.bpp.it)
A circa 900 mt a est dei ruderi di Torre Castiglione si trova l’edificio “Maciniello”, oggetto anch’esso di un intervento di salvaguardia, valorizzazione e fruizione dell’area interessata dalle spunnulate. Realizzato con muratura “a sacco”, risulta coperto con una volta a botte ed è provvisto di ingresso ad arco posto a nord, sul lato opposto al mare. Sul lato est si inserisce un recinto con muratura a secco. Da un punto di vista topografico l’edificio, equidistante dalle due torri vicine- che proprio per questa caratteristica vengono dette torri speculari– è situato a poche decine di metri dalla scogliera ed è conosciuto come “lu puestu” (il posto) o Macinieddru (Maciniello) dagli abitanti della zona. La denominazione lu puestu ha probabile attinenza con l’uso di chiamare allo stesso modo le casette dei cavallari dislocate lungo il perimetro delle coste calabresi: Posto di Capo Bruzzano, Posto di guardia di Pigliàno, Posto i Palazzi ed altre.
San Pancrazio Sal.no – Chiesa di Sant’Antonio da Padova – Affresco dell’assalto del 1547 (fonte: http://www.brindisiweb.it)
I primi riferimenti al “logo Macin(i)ello”, si ritrovano in un atto notarile all’interno di un cartiglio del 1777, conservato presso l’Archivio di Stato, dove, davanti al notaio Francesco Saverio Trotta,
“Domenico D’Amato da terra di Veglie […] cavallaro di logo di Maciniello [e] Donato Varniola di Veglie cavallaro di logo di Macinello, […] non con forza, dolo o inganno alcuno, di loro libera e spontanea volontà, con giuramento attestano, confermano e dichiarano…[etc].
Come si può notare dal testo, in questo caso non si parla però di puestu, ma di logo.
Dettagli dell’atto notarile (Archivio di Stato di Lecce)
In Torri marittime di Terra d’Otranto, Giovanni Cosi afferma che “tra due torri spesso c’erano località presidiate stabilmente da cavallari”.
Calabria Ulteriore (L. Ruel, 1784-1786) (fonte: www.academia.edu)
Per trovare riferimenti più dettagliati circa l’utilizzo di questo manufatto edificato tra le due torri, bisogna fare riferimento alla “Nuova carta geografica della Calabria Ulteriore”, realizzata dall’ingegnere militare Luigi Ruel, dove le torri di avvistamento appaiono intervallate da una serie di segni quadrangolari spiegati su tutto il perimetro litoraneo della provincia. Le indicazioni corrispondono alle casette destinate ad ospitare il personale addetto al controllo della costa formato da cavallari, pedoni torrieri e aggiunti. Le casette dei cavallari erano dotate di stalla ed erano dislocate ad intervalli regolari. Ciascuna casetta era lunga 30 palmi, larga 16 e alta 14, con annessa mangiatoia per due cavalli e divisorio per la conserva della paglia (fonte: Le casette dei cavallari nel sistema integrato di difesa costiera nel Regno di Napoli – Vincenzo Cataldo).
Casetta dei cavallari (Archivio di Stato di Napoli)
La casetta, quando veniva ricostruita su quella crollata, doveva ospitare non solo il cavallaro col suo cavallo ma doveva prevedere l’accoglienza di persone scampate ai frequenti naufragi.
(fonte: www.academia.edu)
L’imprevedibilità degli eventi in alcuni periodi storici e la ridotta visibilità notturna delle torri richiedevano l’integrazione di un servizio di vigilanza ulteriore per coprire l’allerta notturna, quando le postazioni assumevano un ruolo ancora più determinante per il servizio di guardia. Ogni torre venne pertanto dotata di un caporale, quasi sempre di origine spagnola e nominato direttamente dal Vicerè, di un torriero e di cavallari in numero proporzionato all’importanza strategica della zona. Una volta riconosciuto il pericolo, il torriero attivava segnalazioni di fuoco, di fumo o più rapidamente si serviva di segnali acustici e della bocca da fuoco in dotazione. Appena il torriero irradiava il segnale entravano in azione i cavallari, il cui compito era quello di percorrere in sella al loro destriero i litorali e le zone interne per avvisare tempestivamente la popolazione dell’imminente pericolo.
“Mariano de Falco dell’Avetrana, cavallaro nella guardia di Castiglione, l’11 settembre 1567, riceve 8 ducati per il servizio prestato nei mesi di luglio ed agosto 1567. Palmerio Scardino di Maruggio, cavallaro nella marina di Salice in loco detto Castiglione, il 13 ottobre 1567 riceve 4 ducati per il servizio prestato nel trascorso mese di settembre. Mariano de falco, cavallaro come sopra, il 22 ottobre 1567 riceve 4 ducati per il servizio prestato nel trascorso mese di settembre.”
(Torri marittime di Terra d’Otranto – Giovanni Cosi)
I cavallari duravano in carica tre anni e venivano suddivisi in ordinari e straordinari ed erano capeggiati dal sopracavallaro, che non prendeva parte alle battute di allarme. Lavoravano maggiormente durante i mesi primaverili/estivi, il periodo cioè più favorevole alla navigazione. I cavallari spesso erano retribuiti male ed in ritardo, e non potendo essere sorvegliati perché dislocati generalmente in posti impervi, difficilmente facevano fino in fondo il loro dovere. Non era infrequente che disertassero le postazioni di controllo o che addirittura prendessero accordi con i pirati.